
Quante volte a scuola ci siamo sentiti sprofondare nelle scomode sedie di legno quando la professoressa annunciava alla classe la temuta lista dei libri da leggere durante le vacanze? Oppure, quante volte, nel prepararci all’interrogazione di italiano, avremmo voluto dare fuoco a quelle minacciose antologie e andarci a prendere un bel gelato? Siamo sinceri: salvo poche rare eccezioni, queste sono le tipiche reazioni dei ragazzi di ieri e di oggi. “Eppure”, si sarà chiesto qualcuno (non oltre la terza fila), “deve pur esserci un motivo per cui vogliono farci leggere questi autori che puzzano di forma aldeide!”. La risposta è sì. Tuttavia, una simile refrattarietà non si registra unicamente tra i banchi di scuola. Anche gli adulti, spesso, non prendono minimamente in considerazione di abbandonarsi alla lettura di un classico, e le motivazioni fornite sono più esilaranti di quelle che si scrivevano un tempo sul libretto delle giustificazioni. Tra le frasi più accreditate abbiamo “No, non posso: è da intellettuali”, “Oh no, sono pesanti e non adatti allo svago”, oppure l’iconica “Leggere? E chi ha più il tempo di farlo?” (“Compiti non svolti perché pensavo fosse domenica”, del mio compagno di classe Giacomo, era decisamente più credibile).
Sebbene molti appassionati continuino a tenere in vita le collane dei classici delle case editrici, la situazione generale attuale non è delle più rosee. Viene naturale chiedersi: come fare per invertire la rotta? E soprattutto, a chi spetta il primo passo di un simile onere? Alle istituzioni? Alla scuola? Ai genitori? Agli editori? Agli influencer? O magari a ciascuno di noi lettori, nel nostro piccolo? La risposta, forse, ci coinvolge tutti. Non so quale potrebbe essere la soluzione definitiva, e forse non esiste. Ma so qual è il punto di partenza: riconoscere il valore che i classici ancora portano con sé. E ricordarci perché continuano a parlarci ancora oggi. Studiosi, letterati e accademici si sono espressi più volte in merito, ma tra le tante penne, quella di Italo Calvino è stata, a mio parere, la più potente. In Perché leggere i classici (Mondadori, 1981), lo scrittore ci fornisce varie definizioni del termine “classico”, tra cui:
“Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli”
Di fatto, ognuno di noi ha i “propri” classici, quelli che sentiamo appartenerci. Per intenderci, se Il fu Mattia Pascal di Pirandello ha cambiato me, non è detto che abbia lo stesso effetto sulla mia vicina di casa. Magari, lei ha amato invece Cime tempestose di Emily Brontë, (che, non me ne vogliate, a me non ha fatto impazzire). Eppure, se lo rileggessi tra dieci, venti o cinquant’anni, potrebbe diventare il mio libro del cuore. Insomma, chi può dirlo? Questo è uno degli aspetti più affascinanti dei classici, dopotutto: ogni lettura è sempre la prima, perché noi, che facciamo da filtro a quelle parole d’inchiostro, non siamo mai gli stessi.
Un altro fatto straordinario, e che continua ad attrarmi, opera dopo opera, è l’attualità. Eh già, quel testo che si appresta a compiere il duecentesimo compleanno è oggi più giovane che mai (immaginate se fosse così anche per noi!). In quelle storie, con le ambientazioni più disparate — dalla Londra vittoriana all’Europa nazista, dal rigido inverno russo fino alle torride estati indiane — in epoche lontanissime o addirittura immaginarie, si riesce sempre a scovare almeno un dettaglio che ci ricorda inequivocabilmente il nostro presente. Ed è per questo motivo che da quelle opere possiamo (e oserei dire “dobbiamo”) trarre insegnamenti preziosi, da tenere sempre in tasca per affrontare la vita di tutti i giorni. Ma questo lo vedremo meglio nella rubrica “Classici in corso”.
Mi piace credere che il potere di un classico — e ciò che lo rende tale — sia la sua capacità di riflettere, come uno specchio, tutto quello che lo circonda. Uno specchio di noi stessi, della realtà passata, e anche di quella presente. Perché la vera e intima natura umana, nel bene e nel male, resta sempre la stessa. È da questo concetto che il blog trae il suo nome: Specula, per chi, come me, non ha studiato latino significa proprio “specchi”, ma anche “torre di osservazione” (ditemi se non è un nome perfetto?!)
Prima di salutarvi, permettetemi di concludere questo primo articolo con una citazione di Italo Calvino. Dopo aver condiviso alcune riflessioni intense, mi sembra giusto alleggerire il passo e chiudere con le parole di chi ha saputo rendere la leggerezza una forma di profondità.
“Non si creda che i classici vanno letti perché «servono» a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici”
(Italo Calvino, Perché leggere i classici. Mondadori, 1981)
Martina
E tu, cosa ne pensi? Qual’è per te il valore di un classico? Quali sono i “tuoi” classici?
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