Pirandello: l’insuccesso di un uomo di successo
Personalmente, devo molto a Luigi Pirandello. In terza superiore ero stata colpita da un grave blocco del lettore, tanto che mi ero convinta che non sarei più stata capace di iniziare e terminare un libro per il resto della mia vita (sì, sono drammatica, lo so). Poi è arrivato lui, Il fu Mattia Pascal, in sella ad un cavallo bianco, capofila della lista dei libri da leggere per le vacanze. Da lì è cambiato tutto, non ho più smesso di leggere e soprattutto non ho smesso di leggere le sue opere (anche se ancora qualcosa mi manca). Eppure, molti storceranno il naso a sentirlo nominare. Sono certa che ricorderete l’interminabile biografia riportata sul manuale di letteratura italiana, forse una delle più lunghe dato che “non gli era bastato scrivere novelle, saggi e romanzi: doveva pure darsi al teatro!”. Ebbene sì, pure la lista dei suoi scritti somigliava molto a quella che stila la nonna per il pranzo di Pasqua, e nessuno aveva la minima intenzione di impararli a memoria. Quella di Pirandello fu una vita costellata di successi, fino al più grande riconoscimento per uno scrittore: il Nobel per la letteratura nel 1934 (che tra parentesi, non poté neanche ritirare di persona per motivi di salute). Insomma, ecco come ce lo presentavano alle superiori: un gigante della letteratura italiana, uno di quelli a cui non saresti degno neanche di lucidare le scarpe. Non c’è ritratto meno veritiero di questo, e ogni volta che sento parlare di questo autore in simili termini me ne dispiaccio profondamente.

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