Ci vediamo per un caffè, Gregor?
Io e Gregor Samsa ci eravamo dati appuntamento alle 17:00 in un piccolo bar che faceva angolo. Era in ritardo di ben dodici minuti, così decisi di attenderlo all’interno. Scelsi un piccolo tavolino rotondo, vicino alla grande vetrata che dava sulla strada, e per ingannare l’attesa mi misi ad osservare i passanti che camminavano sul marciapiede, come una processione distratta, ignara di essere spiata. Passò una moltitudine di uomini in completo scuro — probabilmente appena usciti da lavoro — tutti con lo stesso passo flemmatico, le facce pallide e scavate dalla stanchezza. Saranno stati una quindicina, e tra loro spiccava un individuo vestito in modo assolutamente insolito: una camicia arancione a fiori gialli, bermuda verdi, espadrillas dalla suola consunta e un paio di occhiali da sole troppo piccoli per il suo volto. I capelli erano abbandonati ad uno stato selvaggio e coronavano una fronte bruciata dal sole. Immaginate la mia sorpresa quando lo vidi entrare nel bar e sedersi davanti a me con aria disinvolta, esordendo con un sorriso aperto

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