Ci vediamo per un caffè?

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Ci vediamo per un caffè, Gregor?

Io e Gregor Samsa ci eravamo dati appuntamento alle 17:00 in un piccolo bar che faceva angolo. Era in ritardo di ben dodici minuti, così decisi di attenderlo all’interno. Scelsi un piccolo tavolino rotondo, vicino alla grande vetrata che dava sulla strada, e per ingannare l’attesa mi misi ad osservare i passanti che camminavano sul marciapiede, come una processione distratta, ignara di essere spiata. Passò una moltitudine di uomini in completo scuro — probabilmente appena usciti da lavoro — tutti con lo stesso passo flemmatico, le facce pallide e scavate dalla stanchezza. Saranno stati una quindicina, e tra loro spiccava un individuo vestito in modo assolutamente insolito: una camicia arancione a fiori gialli, bermuda verdi, espadrillas dalla suola consunta e un paio di occhiali da sole troppo piccoli per il suo volto. I capelli erano abbandonati ad uno stato selvaggio e coronavano una fronte bruciata dal sole. Immaginate la mia sorpresa quando lo vidi entrare nel bar e sedersi davanti a me con aria disinvolta, esordendo con un sorriso aperto 

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“Educata non significa sottomessa”: la lezione di Jane Eyre davanti ad un té

Mi sono sempre ritenuta una persona molto puntuale — mi piace arrivare persino con qualche minuto di anticipo — ma questa volta ero io a far attendere la mia compagna di chiacchiere. Al mio arrivo notai, senza troppo stupore, che Jane Eyre era già all’ingresso del caffè, intenta ad osservare la punta delle sue scarpe. Era minuta e piuttosto esile, caratteristiche che la rendevano ancora meno appariscente. Le vesti, come da copione, erano modeste: un abito grigio le cadeva morbidamente addosso ed era ravvivato da una sola spilla di perle. Il viso, invece, conservava quei tratti irregolari che avevo imparato a riconoscere tra le pagine del suo romanzo — e tra essi spiccavano due begli occhi verdi (e non nocciola, come si ostinava a sostenere il signor Rochester). Insomma, cari lettori: Jane Eyre non era cambiata di una virgola da come me la ricordavo. Dopo un saluto ben composto, entrammo nel locale. Una volta al bancone, Jane insistette perché scegliessi io il tavolino, mentre lei si sarebbe occupata di ordinare i nostri caffè. Pochi minuti dopo eravamo sedute una di fronte all’altra: io con un caffè macchiato, lei con un English Breakfast Tea, naturalmente. Decisi che era il momento di iniziare la nostra chiacchierata.

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