
Mi sono sempre ritenuta una persona molto puntuale — mi piace arrivare persino con qualche minuto di anticipo — ma questa volta ero io a far attendere la mia compagna di chiacchiere. Al mio arrivo notai, senza troppo stupore, che Jane Eyre era già all’ingresso del caffè, intenta ad osservare la punta delle sue scarpe. Era minuta e piuttosto esile, caratteristiche che la rendevano ancora meno appariscente. Le vesti, come da copione, erano modeste: un abito grigio le cadeva morbidamente addosso ed era ravvivato da una sola spilla di perle. Il viso, invece, conservava quei tratti irregolari che avevo imparato a riconoscere tra le pagine del suo romanzo — e tra essi spiccavano due begli occhi verdi (e non nocciola, come si ostinava a sostenere il signor Rochester). Insomma, cari lettori: Jane Eyre non era cambiata di una virgola da come me la ricordavo. Dopo un saluto ben composto, entrammo nel locale. Una volta al bancone, Jane insistette perché scegliessi io il tavolino, mentre lei si sarebbe occupata di ordinare i nostri caffè. Pochi minuti dopo eravamo sedute una di fronte all’altra: io con un caffè macchiato, lei con un English Breakfast Tea, naturalmente. Decisi che era il momento di iniziare la nostra chiacchierata.
“Bene Jane, sono molte le domande che vorrei farti. Dal primo momento in cui ti ho letta, ti ho sempre vista come un personaggio complesso — e forse mai del tutto compreso. Andiamo con ordine. La prima cosa che voglio chiederti è: ti sei mai chiesta se sei stata troppo rigida con te stessa?”
J.E: “Ad essere sincera, spesso. Sono cresciuta in ambienti ostili — prima a Gateshead, dove ero costantemente bersagliata dai dispetti dei miei cugini e dalla violenza verbale di mia zia, e poi a Lowood, dove la disciplina era necessaria per sopravvivere. Devo ammettere, però, che sono sempre stata una ragazza dai valori incrollabili, e ho imparato che cedere a ciò che va contro la mia coscienza significa perdere me stessa. Rimanere coerenti con ciò che si è e con i propri ideali ha un prezzo — lo so bene — ma ho sempre preferito pagarlo piuttosto che svendermi”.
“Se potessi parlare alla Jane bambina di Gateshed, cosa le diresti?”
J.E: Le direi di non vergognarsi mai della sua voce. Che nessuna bambina dovrebbe essere punita per aver parlato troppo forte, o per aver chiesto giustizia ed equità. E le direi anche che un giorno, proprio quella voce le salverà la vita
“Cosa pensi, a posteriori, della signora Reed?”
J.E: È estremamente difficile amare chi ti ha negato affetto nel momento in cui eri più vulnerabile. La signora Reed non mi ha solo trascurata: mi ha fatto sentire indegna di essere amata, come se non avessi mai avuto il diritto di far parte della sua famiglia - anche se il mio sangue lo reclamava. Ci sono voluti anni perché capissi che l’odio che nutriva per me non era tutto mio: era suo. L’ho perdonata poco prima del suo ultimo respiro, e le ho offerto il mio affetto, senza esitare. Perché, come avrai notato, credo profondamente nelle seconde possibilità. E anche se non saprò mai se abbia davvero accettato quell’offerta, mi piace credere che in fondo al suo cuore raffermo, qualcosa si sia mosso, almeno per un attimo.
“Perché non sei rimasta con Rochester la prima volta, dopo la rivelazione su Bertha?”
J.E: Perché l’amore, senza rispetto di sé, diventa una prigione. Amavo Edward, ma non potevo diventare la sua amante — non senza perdere la stima che avevo per me stessa. Non potevo amare qualcuno se farlo significava compromettere la mia integrità. Ed Edward questo lo sapeva bene.
“E cosa pensi, invece, dell’amore di oggi?”
J.E: L’amore di oggi, come quello dei secoli scorsi, ha i suoi lati luminosi e le sue ombre. Se dovessi esprimere quel che penso in una sola frase direi “oggi l’amore sembra avere più libertà, e meno pazienza”. Ci si incontra in un attimo e ci facciamo travolgere da passioni intensissime, ma poi ci si abbandona al primo dubbio, al primo ostacolo. Ai miei tempi era tutto più nascosto, più difficile…ma anche più deliberato. Quando sceglievi, sapevi cosa rischiavi e raramente si tornava indietro — non solo perché era difficile, ma perché eravamo sicuri di volerlo davvero. Vorrei che oggi, con tutta questa libertà, non si perdesse il coraggio della profondità. L’amore non è solo sentimento: è scelta, lotta, fedeltà a sé e all’altro. Questo, almeno, non dovrebbe cambiare mai.
“Bertha era una tua rivale, ma anche una donna prigioniera. Non ti sei mai chiesta se anche lei meritasse pietà?”
J.E: Certamente, ma solo col tempo. Al momento della rivelazione non riuscivo a vederla come altro che un ostacolo, una minaccia alla mia felicità. Avevo paura. Del resto ero giovane, ferita, e scoprire che Edward mi aveva nascosto qualcosa di così grave mi tolse il fiato e non riuscii a pensare ad altro. Col tempo, però, ho capito che Bertha era una vittima almeno quanto me: reclusa, negata, usata. Non so se avrei avuto la forza o la libertà di aiutarla, ma oggi la compiango, e le riconosco il rispetto che forse il romanzo non le ha mai concesso.
“St. John Rivers. Dimmi la verità; ti è passato per la testa di accettare la sua proposta?”
J.E: Solo per un attimo. L’idea di avere uno scopo, di servire, era forte, soprattutto in quel periodo di monotonia quotidiana. Ma sposarlo senza amore sarebbe stato un sacrificio troppo freddo. Io, invece, sono fatta anche di fuoco.
“Ti sei mai sentita veramente bella?”
J.E: Non nel senso in cui lo intende il mondo. Dal romanzo emerge chiaramente che la mia non è una bellezza tradizionale. Non me ne sono mai fatta un cruccio: ho sempre accettato il mio aspetto esteriore ed ho investito su intelligenza e gentilezza. Non mentirò: ci sono stati momenti — rari ma intensi — in cui mi sono sentita vista. E allora, sì, forse sì: mi sono sentita anche bella.
“Cosa pensi delle lettrici moderne che ti giudicano troppo morigerata o troppo passionale?”
J.E: Proprio a questo proposito ci tengo a precisare che educata non significa sottomessa, e provare sentimenti forti non equivale a essere troppo passionale. Forse alcune lettrici moderne si dimenticano che i tempi in cui ho vissuto erano molto diversi da quelli di oggi, e forse è per questo che non sono sempre stata compresa o apprezzata. Comunque, questo è il mio modo di essere donna: integra ma con sentimenti dirompenti, coerente ma pronta a rischiare, gentile ma non ingenua, educata ma mai subordinata.
“Chi saresti - o cosa faresti - se appartenessi a quest'epoca?”
J.E: Difficile a dirsi, ma molto probabilmente insegnerei ancora. Per me è sempre stata una vocazione. Forse scriverei anche e oggi non dovrei lottare tanto per essere ascoltata. Vedo con piacere che, rispetto ai secoli passati, sono stati fatti passi da gigante. Eppure lo so: c’è ancora molto per cui lottare. Bisognerebbe contestualizzare, certo. Ma anche oggi, per una donna che pensa con la propria testa, la strada è in salita.
“Bene Jane, direi che possiamo fermarci qui. È stato uno scambio davvero interessante e ci hai offerto molti spunti su cui riflettere”
Lei mi ringraziò col suo consueto garbo. Terminato il tè, si alzò con grazia: Edward la aspettava per la loro passeggiata prima del pranzo e lei, ovviamente, non sarebbe certo mancata. La seguii con lo sguardo mentre si allontanava, discreta e fiera. E mi venne da sorridere: Jane Eyre non è mai davvero uscita dal suo tempo, eppure riesce a parlare anche al nostro.
Martina
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