Come diventare più empatici? Basta un libro (o anche due)

Pubblicato il 10 novembre 2025 alle ore 09:09

Tempo fa ho letto un libro (vi stupirete, ma stavolta non si tratta di un classico della letteratura) che mi ha particolarmente toccata.   E per “toccata” intendo dire che quelle mille pagine mi hanno procurato almeno tre ore di pianto e una quantità incalcolabile di minuti passati a contemplare il muro di camera mia (a mio parere, sintomo di un libro ben riuscito). I miei amici già sapranno di quale libro parlo: gliel’ho consigliato in maniera petulante e tuttavia insufficiente, visto che nessuno di loro se l’è ancora procurato (e da qui nasce la spiacevole consapevolezza che il prossimo passo potrebbe essere il ricatto).

Ho capito che, per me, il valore di quella storia non stava solo nella trama strappalacrime e nei messaggi profondi che l’autrice è riuscita abilmente a trasmettere, ma soprattutto in ciò che ho imparato e che, senza accorgermene, ho applicato nella vita reale. Non sto parlando di competenza pratiche — come sapersi orientare in un bosco di notte oppure azzeccare la cottura perfetta dell’uovo in camicia (che, a ben vedere, è più difficile del destreggiarsi al buio nella foresta). Leggendo quel libro mi sono ritrovata faccia a faccia con ciò che significa essere umani, con le molteplici forme di dolore che possono sfiorare le nostre esistenze e, soprattutto, con la fragilità.  

 

Uno dei temi centrali di quella lettura era l’autolesionismo, una realtà che fortunatamente era a me estranea. L’autrice ha disseminato la vicenda di scene e descrizioni crude (che, per una persona facilmente impressionabile come me, hanno causato persino uno svenimento in treno mentre andavo tranquilla all’università) e conversazioni ancora più strazianti, che mi hanno aperto gli occhi su una situazione molto meno rara di quanto si creda. Infatti, poco tempo dopo, ho scoperto che una persona a me vicina — che conosco da relativamente poco — si era trovata in quella situazione e ancora ne subiva gli strascichi. Ho scoperto che di fronte a quella circostanza delicata, difficile da sostenere con la giusta presenza, dentro di me sapevo già come comportarmi, come parlare, come prestare le dovute attenzioni. Può sembrare banale, eppure so per certo che, se non avessi letto quel libro, probabilmente — per paura di ferire o di dire la cosa sbagliata — me ne sarei semplicemente andata. E non c’è errore più grande. 

 

Tutto questo per dirvi che leggere non è solo un passatempo, un momento di relax o un modo per “farsi una cultura” (che, tra parentesi, non basta certo leggere per farsela). È molto di più: è nutrimento per le nostre capacità empatiche. E se non credete alle mie parole… forse crederete a quelle della scienza. Per questo motivo, solo per oggi, vestirò i panni della ricercatrice che è in me e vi riporterò le mie scoperte. Ora, indossiamo guanti e camice (o, se preferite, pigiama e coperta) e mettiamoci ad esplorare. 

 

Innanzitutto, dobbiamo capire cosa succede nel nostro cervello quando leggiamo. Uno studio scientifico ha chiesto a un gruppo di persone di leggere un romanzo nell’arco di nove giorni e le scansioni cerebrali  che sono state fatte hanno evidenziato l’attivazione di due aree del cervello. La prima è quella responsabile dell’elaborazione del linguaggio (ovvero la corteccia temporale sinistra), che solo dopo cinque giorni di lettura risultava più attiva del normale. Il che, per alcuni, sarà già una gran conquista. La seconda area attivata è legata alla percezione delle sensazioni corporee (ovvero il solco centrale). Tradotto: quando il protagonista si becca una pallottola nella gamba … anche il tuo sistema nervoso dice “ahia”. Questo significa che le esperienze fisiche descritte nella storia letta da quelle persone hanno lasciato una traccia concreta nel loro cervello. In altre parole, leggere narrativa può davvero modificare l’attività cerebrale e avere effetti duraturi.

 

Ma arriviamo al nocciolo della questione. Da anni, la ricerca suggerisce che la lettura di narrativa aiuti a sviluppare l’empatia. Ad esempio, gli studi di Kidd e Castano (2013) hanno dimostrato che la lettura di racconti letterari brevi migliora la capacità dei lettori di comprendere le emozioni e i punti di vista altrui. 

Anche Bal e Veltkamp (2013) hanno ottenuto risultati simili, con una precisazione interessante: l’empatia aumentava solo quando i lettori si sentivano emotivamente coinvolti nella storia. Questo indica che l’immersione nella lettura gioca un ruolo importante nello sviluppo dell’empatia.

 

Tuttavia, non tutti gli studi arrivano alle stesse conclusioni. Panero e i suoi colleghi, ad esempio, hanno tentato di replicare questi risultati, ma non hanno osservato effetti significativi. La loro ricerca ha avanzato un’ipotesi alternativa: forse sono le persone già empatiche a scegliere più spesso la narrativa, e non il contrario. Questo solleva una domanda importante: è la lettura a sviluppare l’empatia, o sono le persone empatiche a sentirsi attratte dalla lettura? Il solito dilemma: viene prima l’uovo o la gallina? 

 

D’altra parte, ricerche più recenti del National Literacy Trust evidenziano una forte connessione tra lettura per piacere e sviluppo dell’empatia, soprattutto nei giovani. Il sondaggio annuale del 2024 del National Literacy Trust, che ha coinvolto oltre 76.000 giovani, ha rivelato che molti studenti leggono con l’intento di comprendere il punto di vista altrui, esplorare culture diverse e riflettere su temi sociali. Queste motivazioni suggeriscono che la lettura non è solo intrattenimento, ma anche uno strumento potente di crescita sociale ed emotiva. 

Pur non esistendo ancora una prova definitiva di causa-effetto, i risultati fanno pensare a un circolo virtuoso: più leggiamo, più sviluppiamo empatia, il che rende la lettura ancora più gratificante e ci spinge a continuare a leggere.

 

Sydney Timmins, scrittrice e fondatrice del Mental Health Book Club, condivide i benefici della lettura per la salute mentale, avendo affrontato in prima persona sfide legate alla salute mentale e alla sclerosi multipla. Tra i benefici principali, Timmins indica la riduzione dello stress, lo sviluppo dell’empatia, il miglioramento della capacità di memoria e rallentamento del declino cognitivo. Quindi sì, se non ti ricordi come si chiama quella persona che ieri ti ha salutato con entusiasmo al supermercato… è ufficiale: devi leggere di più. (Oppure inventarti un “Ciao carissima!” molto convincente). 

 

Questo non significa che per diventare persone più empatiche dobbiamo fare indigestione di libri. Anzi, sarebbe utile rivedere il concetto di lettura che oggi passa sui social: numeri, sfide, TBR lunghi quanto la Divina Commedia e che vengono esaurite nel giro di un mese. Come in quasi tutte le cose, non è la quantità a fare la differenza, ma la qualità. È inutile leggere cento libri l’anno se li hai dimenticati tutti prima del cenone di Natale:  meglio leggerne tre, con attenzione, riflessione e spirito critico.

 

Liz Swan, docente di scrittura all’Università del Colorado e autrice su Psychology Today, propone tre strategie per migliorare le competenze di lettura:

  1. Limitare la lettura superficiale: ridurre il tempo dedicato a contenuti brevi e poco profondi (come commenti sui social media) per lasciare spazio a letture più significative.
  2. Dare priorità alla lettura profonda: è fondamentale promuovere una lettura che aiuti a comprendere la natura umana e il mondo che ci circonda.
  3. Incoraggiare la lettura per il piacere di leggere: dedicare del tempo alla lettura di testi diversi per stimolare interesse e curiosità. 

 

Ora, dopo questa sfilza di studi e teorie, vi ho convinto del fatto che leggere serve effettivamente a qualcosa di importante?

Spero di sì, e se così non fosse, non ne ho alcuna colpa: non sono mica una scienziata! 

 

Martina

E tu, cosa ne pensi? Credi che la lettura ti abbia reso una persona più empatica? 

Lascia un commento e arricchisci il dialogo della community!

Aggiungi commento

Commenti

Non ci sono ancora commenti.

Crea il tuo sito web con Webador